Le prime opere le ha iniziate a dipingere nel 2014 mentre la Striscia di Gaza era invasa dall’esercito israeliano nell’ “Operazione Margine di protezione”: un mese e mezzo di campagna militare durante la quale morirono più di duemila cento palestinesi, di cui il 70% secondo il Ministero della salute di Gaza e l’Onu erano civili. Sul fronte israeliano morirono 66 soldati e 6 civili. Mezzo milione di palestinesi dovettero fuggire dalle proprie abitazioni, mentre furono tra i 5 e gli 8mila i cittadini israeliani a lasciare le proprie case.
L’abbiamo incontrata a margine dell’inaugurazione della mostra al ristorante Dukka, visitabile sino alla fine del mese in via Musei 9/b, Brescia
Perché hai cominciato a dipingere?
Vengo da una famiglia di artisti, con una vera passione per l’arte e di come l’arte sia un modo per l’espressione di sé. Ma non ho cominciato da piccola, i miei primi lavori li ho realizzati durante gli attacchi [israeliani] del 2014 come un modo di scappare dal dramma di quegli attacchi, che non erano nemmeno i primi che vedevo nella mia vita.
Così ho cominciato quando ho visto i miei vicini di casa uccisi da bombardamenti israeliani di fronte a me. Ho pensato che l’unico modo in cui potevo tirare fuori l’energia che avevo dentro di me, mentre ero chiusa in casa, era il lavoro artistico. L’arte non è solo un regalo ma anche il modo in cui io posso guarire e il modo in cui posso raccontare la mia storia.
Quanti anni avevi quando sei partita da Gaza?
Avevo solo diciassette anni. Me ne sono andata e ho cominciato la mia vita a Istanbul. Ora sono quasi laureata in Scienze Politiche, ma sono anche un’artista a tempo pieno il che comporta molti viaggi sia per le mostre che per i reading, visto che sono anche una scrittrice.
Questa è la mia prima volta in Italia, sono in tour con diverse mostre tra Rimini, Brescia, Roma, Napoli.
Le mostre sono dedicate alle donne
Direi che il mio tema è soprattutto Donne e Palestina. Sono una donna, cresciuta in mezzo a donne forti che hanno lottato molto per quello che volevano e mi hanno davvero ispirato per focalizzarmi attorno ai temi femminili nei miei lavori artistici.
Cosa ti manca di Gaza?
Un sacco di cose. Quando sono tornata, son rimasta sette mesi e sono sopravvissuta al quarto attacco di Israele, e questo ha complicato i miei sentimenti. Io sono una rifugiata, non originaria della Striscia di Gaza, anche se Gaza è il luogo che conosco meglio, dove ci sono le mie radici, e ho nostalgia del cibo, del mare, delle persone. Mi manca la mia casa, ovviamente.
E com’è vivere da palestinese a Istanbul?
Bello ma anche molto difficile. Istanbul è un santuario per molti rifugiati, non solo siriani ma anche egiziani, iracheni, palestinesi. La vita può essere impegnativa, ma Istanbul sa anche essere molto diversa: bella, ricca, ci sono le tradizioni e la bellezza.
Cosa vuoi comunicare con la tua arte, in una frase?
Vorrei stimolare le persone a connettersi, a sentirsi l’un l’altro, a sostenersi: sfortunatamente viviamo in un mondo individualista e spero che l’arte possa convincere la gente a stare insieme nonostante i divari creati da nazionalità, idee, background.
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Una vita a cavallo tra l'informazione e la comunicazione. Nel 2016 ho lanciato il progetto inPrimis - un notiziario in breve che alle 7 del mattino prova a riassumere la complessità del mondo in 5 minuti, e poi lascia spazio a brevi approfondimenti per migliorare un po' il mondo - un minuto alla volta. Nel 2022 è la volta di Breccia, tutto dedicato al territorio in cui sono nato, cresciuto, tornato e in cui sto facendo crescere mia figlia.
Una vita a cavallo tra l'informazione e la comunicazione. Nel 2016 ho lanciato il progetto inPrimis - un notiziario in breve che alle 7 del mattino prova a riassumere la complessità del mondo in 5 minuti, e poi lascia spazio a brevi approfondimenti per migliorare un po' il mondo - un minuto alla volta. Nel 2022 è la volta di Breccia, tutto dedicato al territorio in cui sono nato, cresciuto, tornato e in cui sto facendo crescere mia figlia.