Demolizione Tintoretto: la fine dell’unité d’habitation di San Polo
I piccioni sono rimasti gli unici inquilini della torre Tintoretto, volano tra ciò che resta degli appartamenti squarciati dalle gru da demolizione. La società Redo Sgr, società benefit che si occupa della realizzazione e gestione di investimenti immobiliari, si è aggiudicata per 1,3 milioni di euro i lavori di abbattimento, vincendo a giugno 2020 la gara d’appalto bandita da Aler (Azienda lombarda edilizia residenziale).
La distruzione è stata avviata a metà di novembre del 2021. Lo smantellamento sarà graduale per evitare crolli. È previsto l’utilizzo di getti d’acqua con lo scopo di prevenire la dispersione di polveri e detriti. Tra i materiali di costruzione è presente amianto. L’Ats di Brescia monitora le operazioni che verranno fermate in caso di forti venti che potrebbero spargere i detriti nell’area circostante il cantiere. I lavori dovrebbero terminare verso la fine di gennaio.
La torre
La Tintoretto sorge nella zona sud-est di San Polo, periferia che con i suoi oltre 20mila residenti è la più popolosa di Brescia. I lavori di costruzione della torre sono iniziati nel 1984. Divisa su 17 piani di cui 15 residenziali, con le cantine all’ultimo piano e una piastra al piede destinata ad ospitare servizi e attività commerciali. Contava 195 alloggi con una sola scala d’accesso. Su ogni piano si affacciavano 12 appartamenti. Questi erano composti in prevalenza da bilocali e trilocali, di cui la maggior parte con un solo bagno e tutti senza balcone.
Pensata come realizzazione di unitè d’habitation, concetto residenziale teorizzato dall’architetto e designer svizzero Le Corbusier, è sin da subito diventata un catalizzatore per le fasce di popolazione qui ricollocate dal comune e provenienti da altre parti della città.
Faceva parte del complesso di 5 torri sorte a San Polo sud tra gli anni ‘70 e ‘80. La Raffaello, la Michelangelo e la Tiziano ad ovest e, separate come uno spartiacque da via San Polo, la Tintoretto e la Cimabue a est. Le principali differenze tra le torri occidentali e le torri orientali sono di ordine architettonico e sociale. Le prime sono più basse e munite di tre scale d’accesso agli appartamenti. Le seconde, pur avendo un maggior numero di piani e interni, ne contano uno solo. Tintoretto e Cimabue inoltre hanno avuto una più consistente presenza di stranieri, essendo state costruite in concomitanza con l’arrivo dei primi flussi migratori, il che ha pesato sulla percezione esterna delle stesse.
Lo studio sociale
Paola Trapelli, assistente sociale, conosce molto bene la storia del quartiere e in particolare delle torri, avendo condotto su di queste uno studio approfondito per la sua tesi di laurea.
La nascita di San Polo
«Il progetto iniziale dell’architetto era quello di trovare il giusto mix tra edilizia funzionale e sociale. Però tutto quello che è stato teorizzato ha avuto altri esiti».
La torre iniziò a popolarsi quando i lavori di costruzione non erano finiti. Gli inquilini presero possesso degli interni quando questi mancavano delle rifiniture.
«San Polo è nato per la forte esigenza abitativa data dalla riqualificazione di altri quartieri. Alcune persone sono state ricollocate dal comune, mentre chi abitava nel privato non poteva più permettersi di abitare in abitazioni ristrutturate».
Inquilini della prima ora
I primi abitanti sono stati i Carmelitani espulsi dal centro storico dal meccanismo di gentrificazione conseguente alla riqualificazione del quartiere Carmine nel centro storico di Brescia, operata negli anni ‘80 e ‘90. Ristrutturazioni e investimenti portano i prezzi ad alzarsi, il che attrae nuovi abitanti ad alto reddito, che si sostituiscono ai precedenti con un reddito più basso. A questi si aggiunsero presto le famiglie degli operai della Alfacciai e quelle dei dipendenti delle forze dell’ordine, a cui venne riservato il 10% degli alloggi. Anche se queste ultime lasciarono presto la Tintoretto per spostarsi nelle altre torri o nelle villette a schiera costruite successivamente.
«Le torri sono state le prime abitazioni ad essere costruite, intorno c’erano solo campi. Sono state popolate quando il progetto di quartiere era ancora in itinere. Le persone spostate o trasferitisi lì erano isolate. L’incompiutezza del quartiere e la poca frequentazione dell’area ha attratto soggetti esterni. Questi hanno trovato un posto tranquillo in cui poter mettere in atto comportamenti devianti come spaccio, risse, prostituzione e occupazioni abusive. La presenza di situazioni simili era percepita dagli abitanti, specie quelli più giovani, quasi come protettive rispetto al quartiere. C’erano rigidi codici di comportamento che regolavano le suddette attività. Ad esempio gli spacciatori non vendevano ai giovani del quartiere e chi si dava ai furti lo faceva in altre parti della città. La percezione è rimasta nel tempo, l’immaginario si è fermato lì anche se le cose poi sono cambiate».
Lo stigma
Questi episodi hanno generato una percezione negativa dell’area da parte degli abitanti degli altri quartieri della città. L’idea che fosse un ambiente degradato ha dato origine allo stigma nei confronti degli abitanti delle torri, che ancora si ritrova nelle reazioni dei cittadini al sentir nominare la Tintoretto.
«Lo stigma ha riguardato tutti. Dalle interviste condotte nell’ambito di ricerca della tesi emerge che gli stessi abitanti abbiano fatto proprio questo stigma. Così come le istituzioni, le forze di polizia, i cittadini in generale, i negozianti di quartiere e i residenti. Questo ha portato le persone ad identificarsi con la propria abitazione. C’era chi ci giocava, perché il fatto di dire: «Sono di San Polo» poteva fare paura ed evitare di far scattare la rissa da bar. In certi ambienti poteva quindi tornare comodo, meno in altre situazioni. Ad esempio se fermati dalle forze di polizia, il fatto di avere sul documento l’indirizzo di residenza alle torri o nelle vie limitrofe dava spesso luogo a perquisizioni personali. C’era invece chi, seppur abitando nella torre, osteggiava gli altri inquilini. Si crea così un circolo vizioso difficile da interrompere. Si assume l’etichetta e la si porta con orgoglio o la si rifiuta e la si attribuisce al proprio vicino».
Le origini del degrado
Il ritardo in cui è occorso il comune nella realizzazione dei servizi ha contribuito a creare situazioni di disagio per gli abitanti delle torri. La Tintoretto ha visto l’apertura di un supermercato sulla piastra solo nel 2002. Lo stesso è stato chiuso pochi anni più tardi, nel 2008. Gli unici servizi stabili al piede della torre sono stati un bar e l’ambulatorio di un medico di base.
«L’area è stata lasciata per diverso tempo a se stessa, senza che venissero realizzati sin da subito i servizi immaginati. Dal punto di vista sociale non hanno mai fatto parte del progetto. Nel piano iniziale si dava quasi per scontato che mettere vicino abitazioni di stampo diverso con tipologie di abitanti diverse, in quanto appartenenti a differenti classi sociali sarebbe bastato. L’integrazione non viene da sé. Ci sono stati interventi quando le politiche pubbliche hanno cominciato a prevedere le riqualificazioni diversi anni più tardi. Ad esempio sono stati introdotti il portierato e la ludoteca».
«L’assenza di spazi d’aggregazione fa si che le persone non siano stimolate a fare conoscenza tra loro venendo meno il coinvolgimento degli abitanti alla vita di quartiere. Non è stata pensata una piazza, al suo posto sarebbe dovuto sorgere un parco che non è mai stato realizzato. L’incompiutezza del progetto ha fatto mancare elementi urbanistici con forte valenza sociale. Il quartiere è stato costruito ex novo, non c’era un tessuto sociale preesistente. Tutto questo ha portato già nel 1996 a parlare di contratti di quartiere (progetti di recupero urbano destinati alle aree prive di infrastrutture e dalla ridotta qualità urbana, finalizzati all’incremento occupazionale e alla riduzione del disagio sociale), a soli dieci anni da costruzione delle ultime due torri».
L’esposto alla Corte dei Conti
In merito al progetto di riqualificazione Mirko Lombardi, ex dirigente Aler oltre che ex consigliere comunale presso il Comune di Brescia ed ex consigliere regionale, ha presentato un esposto presso la Procura Generale della Corte dei Conti della Lombardia. Questo ha come oggetto: “il possibile danno erariale – il cui valore è stimato intorno ai 22 milioni di euro – derivante dal bando di asta pubblica emesso dall’Aler nel settembre del 2019 che prevede la cessione ai fini della demolizione della Tintoretto e dal connesso intervento edilizio privato del valore approssimativo di 30 milioni di euro».
Secondo Lombardi, «come dimostrano gli atti e le perizie, l’operazione di svendita ad un privato della torre Tintoretto è stata una grave perdita patrimoniale ed economica per la proprietà pubblica di case popolari. La gemella e contigua torre Cimabue, regolarmente abitata ed in buono stato conferma l’assurdità della demolizione della Tintoretto. Che poi al privato già avvantaggiato dalla operazione di svendita arrivino anche soldi pubblici dal Governo per sostenere la nuova operazione immobiliare è non solo incomprensibile, ma si presta a più di una perplessità sul buon uso del pubblico denaro a vantaggio di privati».
Prospettive future
Una volta abbattuta la Tintoretto l’area su cui sorgeva la torre vedrà la costruzione di sei nuovi edifici che ospiteranno 270 alloggi con classe energetica A. Di questi gran parte verrà data in locazione a canoni agevolati, mentre 90 appartamenti verranno venduti a prezzi calmierati. Non è chiaro però quale sarà il criterio di assegnazione degli alloggi. A riguardo Redo Sgr ha dichiarato che la gestirà direttamente in forma privatistica con la collaborazione di Fondazione Housing Sociale e un attore locale ancora non specificato.
I residenti della Cimabue guardano il cantiere dalle loro finestre. Si chiedono se la stessa sorte toccherà alla loro residenza e dove verranno trasferiti qualora fosse così. Domande le cui risposte sono avvolte dalla fitta nebbia dell’incertezza che le istituzioni non sembrano aver fretta di dissipare. Michela Tiboni, assessore del Comune di Brescia con delega all’urbanistica e pianificazione dello sviluppo sostenibile, si è limitata a dire che: «Per ora non è previsto di replicare sulla Cimabue»